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Sintesi del contributo dello SPI Nazionale al percorso congressuale della CGIL

Lo SPI si riconosce nella traccia di documento congressuale proposta dalla CGIL alla discussione delle Assemblee generali. Questo testo, a sintesi del lavoro prodotto in questi mesi insieme all’Alta Scuola, vuole essere un contributo alla discussione soprattutto nelle Leghe, il cui percorso congressuale vogliamo rendere il più possibile ampio e partecipato.

I grandi fenomeni che stanno cambiando il mondo e modificando radicalmente i nostri modelli di vita, investono con sempre maggiore velocità e frequenza la vita quotidiana delle persone. Costituiscono una sfida complessa per un sindacato che con essi deve misurarsi mantenendo al centro i suoi valori fondanti: centralità del lavoro, giustizia sociale, equità e solidarietà.

Il mondo è cambiato, è divenuto multipolare, ma esprime una complessità nelle relazioni internazionali che fatica a trovare organismi e regole di governo di quelle tensioni tra Stati che si fanno sempre più insidiose. Rilanciamo con forza l’importanza della lotta per la pace,per la democrazia, per i diritti sociali e civili, come premessa irrinunciabile per affrontare le nuove sfide di carattere globale.

In particolare, vogliamo accrescere il nostro impegno sui temi del cambiamento climaticoe della sostenibilità ambientale dei modelli di sviluppo, della garanzia per tutti i popoli del pianeta dell’accesso all’acqua, della sicurezza alimentare, del rispetto dell’ambiente e del risparmio energetico. E’ anche necessario affermare nuovi modelli di consumo basati sull’uso consapevole delle risorse naturali e su una nuova cultura della sostenibilità.

La globalizzazione, all’insegna del capitale finanziario e dell’assenza di regole, ha prodotto il maggiore problema sociale dei nostri tempi: l’aumento enorme delle diseguaglianze. A partire dagli anni Ottanta, l’1% più ricco della popolazione ha beneficiato del 27% della crescita; il 50% più povero del 12%. Ha creato vincitori e vinti, e tra i vinti soprattutto le classi medie e il mondo del lavoro dei Paesi occidentali. Ma non si tratta di un fenomeno ingovernabile. Lediseguaglianzesono aumentate a ritmi differenti nei diversi Paesi, a riprova che le politiche pubbliche possono fare la differenza.

La crisipiù profonda e lunga del Novecento, iniziata nel 2008, infatti, in Europa è stata acuita dalle politiche neo-liberiste dell’austerità che ha accresciuto enormemente le diseguaglianze, ha svalutato il lavoro e ne ha compresso i diritti, ha prodotto una forte disoccupazione, soprattutto giovanile, ha allargato in maniera impressionante l’area della povertà e dell’insicurezza sociale, ha compromesso in maniera decisiva i principali pilastri del welfare universale, la sanità e la scuola, e indebolito fortemente la previdenza.

L’Italia è oggi il Paese con il lavoro più precario d’Europa, con uno dei tassi più alti di discriminazioni di genere e una diseguaglianza interna in costante crescita, vicina ai massimi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. La CGIL con la proposta del Piano del Lavoroha indicato una linea di politica economica alternativa, fondata sull’idea dell’investimento pubblico per la creazione di nuova occupazione e la valorizzazione della qualità sociale. I Governi, al contrario, hanno perseguito la linea di contrazione degli investimenti pubblici, hanno scelto di indebolire il sindacato e di ridurre i salari nominali e le tutele sul lavoro, comprese quelle sulla salute e la sicurezza dei lavoratori. E ancora, hanno scelto di abolire l’articolo 18, di ridurre gli ammortizzatori sociali, di tagliare la spesa sociale. La Carta dei diritti Universali, unitamente al Piano del Lavoro, rimane per noi il riferimento essenziale per un cambio di paradigma nelle scelte politiche, capace di invertire la rotta e di ricostruire speranza e fiducia nel mondo del lavoro, soprattutto fra i giovani.

La sfida più significativa riguarda ora l’Europa. Bisogna rivedere e correggere profondamente le linee di politica economica che sono state alla base del cosiddetto fiscal-compact. Lo scollamento tra l’Europa e i suoi cittadini, che è tra le cause del diffondersi di movimenti anti-europeisti e populisti (pensiamo alla Brexit), è avvenuto proprio sul terreno sociale. Bisogna costruire nuove politiche espansive sul terreno economico e non solo monetario. Bisogna quindi determinare  sia investimenti strutturali che rafforzino la crescita, sia nuove politiche sociali – sostenute da un processo di omogeneizzazione fiscale – che abbiano l’obiettivo di contrastare le diseguaglianze e di estendere le protezioni sociali. Non c’è alternativa credibile a un rinnovato e forte processo di integrazione e l’Italia di questo processo deve provare ad essere protagonista.

La CESdeve accrescere il suo ruolo rivendicando la riforma del Patto di Stabilità, un piano di investimenti, la creazione di lavoro di qualità, nonché dinamiche salariali, un mercato del lavoro e sistemi di welfare che garantiscano diritti a tutti i lavoratori, anche attraverso una sua più forte legittimazione democratica.

La FERPA ha affrontato i temi dell’incidenza della crisi sulle persone pensionate ed anziane, che non sono state certo risparmiate e, mantenendo un forte rapporto con la CES, ha focalizzato la sua attività sull’affermazione di tre diritti fondamentali: alla dignità, al benessere e alla sicurezza. Attraverso l’iniziativa di cittadinanza europea, tuttora rallentata dalla mancanza di procedure comunitarie, ha posto il tema di una normativa per la non autosufficienza a cui si accompagna il tema dell’accesso a un servizio sanitario pubblico di qualità. Insieme ai temi della casa, della formazione permanente, dell’invecchiamento attivo, delle differenze previdenziali uomo-donna, la FERPA lavora per creare primi momenti di mobilitazione coordinata in tutti i Paesi.

In un mondo sempre più interconnesso le migrazionirappresentano una realtà che interessa quasi tutti gli angoli del globo. Conflitti, povertà, diseguaglianze, mancanza di lavoro dignitoso ne sono la ragione principale. L’Italia storicamente è stata un paese di emigrazione, poi è divenuto paese di immigrazione, oggi è contemporaneamente l’una e l’altra cosa. Sono 5,3 milioni gli stranieri residenti. Sono stati la risposta alla necessità di manodopera agricola, industriale e dei servizi, in particolare quelli legati all’assistenza alla persona e soprattutto alla non autosufficienza. Hanno coperto così segmenti del mercato del lavoro scarsamente appetibili per gli italiani. Se poi si mette in relazione con la caduta del tasso di natalità e l’invecchiamento della popolazione, si scopre che il fenomeno migratorio può favorire il bilanciamento demografico e che il lavoro dei migranti concorre in maniera non indifferente alla crescita del PIL nazionale e, attraverso i versamenti contributivi, anche all’equilibrio del nostro sistema previdenziale. Ma la crisi dei rifugiati e degli sbarchi e l’uso mediatico e politico che ne è stato fatto, associata alle pesanti conseguenze della crisi che ha determinato impoverimento e disoccupazione, e quindi insicurezza e vulnerabilità sociale, ha coagulato sentimenti e reazioni di paura e di rigetto. E’ illusorio che si possano ergere muri o realizzare biblici respingimenti. Si tratta di un fenomeno strutturale, destinato a durare nel tempo, e che quindi va affrontato come tema europeo perché riguarda tutta l’Europa e, a livello nazionale, va governato con accortezza, superando la logica dell’emergenza e puntando a politiche di accoglienza solidali ma rigorose e a nuove forme di cittadinanza e convivenza civile. Favorire i processi di integrazione è la strada che lo SPI intende seguire, attraverso campagne culturali mirate e facendo leva sulla contrattazione sociale ai diversi livelli istituzionali. Ci batteremo per l’approvazione dello ius soli, nonché per la riforma della Bossi-Fini, per ripristinare canali di accesso legali e accoglienza ben governata.

E’ oramai in corso da tempo un poderoso processo di innovazione digitale che si diffonde con velocità non paragonabile ai precedenti “salti tecnologici” e che sta trasformando tutte le tecnologie per la produzione di beni e servizi e ha già trasformato gli stessi consumi di massa. Gli effetti sul lavoro sono dirompenti e nessuno al momento è in grado di dire se e quanto si ridurrà la quantità di lavoro necessario. Il rischio è anche che si accentui il processo già in atto di polarizzazione tra lavori ad alta competenza e maggiore autonomia e lavori poveri e meramente esecutivi. L’innovazione e la digitalizzazione vanno governati con le leggi e la contrattazione, che sempre più deve avere dimensione internazionale. Alle politiche di incentivazione va poi affiancato un progetto di indirizzo dell’innovazione verso la soddisfazione dei bisogni sociali delle persone e del territorio, a partire dall’incidenza che la digitalizzazione e la robotica possono avere sulla vita delle persone che invecchiano.

LE SFIDE PER L’ITALIA

Il nostro Paese ha davanti alcune grandi sfide: socio-demografiche (natalità, invecchiamento), economiche (intensità e qualità della crescita), sociali (povertà, disoccupazione, precarietà, diseguaglianze), di dualismo territoriale (unico in Europa) e di genere (il gap tra uomini e donne è ancora troppo ampio in tutti gli ambiti: occupazione, salari, previdenza, lavoro di cura), nonché di legalità (il contrasto alle mafie è precondizione di ogni politica di sviluppo e della stessa democrazia).

In particolare il Mezzogiornoha ulteriormente accentuato il suo tradizionale divario con il Nord e oggi si configura come la più grande questione che il Paese ha davanti perché in quelle aree si concentrano e si esaltano tutti i problemi che è necessario affrontare per costruire un futuro di sviluppo e di coesione sociale. Superare il dualismo significa programmare una concentrazione di interventi e di finanziamenti che agiscano sul contesto economico e sociale per risolverne le strozzature, a partire da una infrastrutturazione materiale e immateriale adeguata, per creare lavoro regolare e tutelato, per garantire l’effettiva fruizione dei diritti di cittadinanza, oggi in gran parte negata o di scarsa qualità (salute, servizi sociali, scuola, università). I nodi rimangono quelli non solo di un migliore utilizzo delle risorse europee, ma anche di un aumento significativo della spesa ordinaria (45% nella proposta CGIL) e di un’adeguata attenzione alla qualità non solo della politica ma anche della Pubblica Amministrazione meridionale, spesso non in grado di produrre progettazione di qualità ed efficacia della spesa.

Noi vogliamo sottolineare in particolare i temi legati al progressivo, e ovviamente positivo processo di invecchiamentodella popolazione, che rappresenta uno dei fenomeni epocali degli ultimi decenni e che non è stato ancora colto in tutta la sua valenza per gli effetti che produce sull’assetto complessivo della società, sui modelli di vita e sulla struttura familiare. Le persone con almeno 65 anni in Italia oggi sono oltre 13 milioni e rappresentano il 22% della popolazione. Solo 30 anni fa erano poco più di 8 milioni. Il picco si registrerà tra il 2045 e il 2050 quando la quota raggiungerà il 34%. Misurarsi con la sfida della longevità sarà compito non solo del sindacato pensionati ma dell’insieme del sindacato confederale, perché vivere a lungo e in buona salute sarà la più importante conquista sociale della quale dovranno essere protagonisti tutti e non soltanto pochi privilegiati, e perché alle trasformazioni indotte da questo processo si dovrà rispondere non solo con politiche specifiche ma con politiche generali che cambino molti degli assetti attuali: del welfare, dei modelli di vita, delle città, delle case, dei ruoli familiari, dei servizi, della fruizione culturale, dei trasporti etc..

Prima di tutto va ripensato il sistema di welfareitaliano, nei suoi storici punti deboli e nelle nuove debolezze che si sono determinate a seguito dei tagli e della conseguente riduzione dei servizi e delle prestazioni. Rilanciamo con forza l’iniziativa e la mobilitazione per conquistare un sistema di protezione pubblico e universale capace di rispondere efficacemente ai bisogni vecchi e nuovi della nostra società. Bisogna ricostruire una cultura universale dei diritti che fermi la deriva privatistica ed assicurativa in atto e che si è fatta strada anche attraverso l’incentivazione pubblica al welfare aziendale, che sottrae risorse di tutti per la tutela di pochi, facendo crescere ulteriormente le diseguaglianze e la frantumazione delle protezioni. Il welfare non è solo un costo: gli investimenti nei servizi creano nuova e buona occupazione ed innescano un circolo virtuoso sull’occupazione e la sua qualità. Quindi rilancio delle politiche sociali pubbliche vuol dire anche politica per l’occupazione, oltre che sostegno alla genitorialità, alle fragilità familiari, alla povertà, all’istruzione, all’inclusione e alla coesione sociale. Un welfare dei servizi è peraltro la prima misura di sostegno all’occupazione femminile e quindi costituisce anche una efficace declinazione delle politiche di genere.

La priorità assoluta va al rilancio e alla valorizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Cresce, anche tra i pensionati, la fascia di popolazione che non accede alle cure anche per il peso dei tickets, che determinano peraltro nuove forme di concorrenza e di drenaggio di risorse verso il privato, e per le liste d’attesa che costituiscono ormai un vero e proprio sistema di contingentamento delle prestazioni. I Livelli Essenziali, entro cui andrebbero ricomprese anche le prestazioni odontoiatriche, non sono più garantiti in tutto il Paese. In particolare il distacco delle regioni meridionali si è fatto profondo e crescente. I Piani di Rientro hanno agito efficacemente sul riequilibrio finanziario, ma non su quello della qualità e dell’efficienza del sistema che, al contrario, si è ulteriormente impoverito senza riconvertirsi. Bisogna determinare un nuovo esercizio dei poteri statali per garantire l’uniformità dei LEA anche attraverso piani di convergenza che finalizzino specifiche risorse al potenziamento e alla qualificazione dell’offerta di servizi sanitari pubblici nel Mezzogiorno e ne rafforzino la capacità gestionale. Ma soprattutto va invertita la tendenza al calo della spesa pro-capite, al definanziamento strutturale e alla programmazione implicita ed esplicita della riduzione della spesa sanitaria complessiva, ridando respiro al sistema e consentendo di investire sulla prevenzione, il territorio, la cronicità, l’innovazione tecnologica, il reclutamento di personale sanitario.

L’altra questione fondamentale è quella della Non Autosufficienza. Occorre finalmente arrivare ad una legge nazionale che fissi i Livelli Essenziali delle Prestazioni e che affronti a tutto campo le fragilità delle persone non autosufficienti e ne preveda la presa in carico effettiva, perché oggi l’assistenza e la presa in carico è prevalentemente affidata alla famiglia e alle donne. Vanno realizzati i servizi necessari, un’adeguata integrazione tra prestazioni sociali e sanitarie, e vanno riscritte le modalità di erogazione delle prestazioni monetarie. La piattaforma unitaria costituisce uno strumento importante per rilanciare l’iniziativa dei pensionati, che deve anche ricercare un ampio campo di alleanze poiché la non autosufficienza impatta non solo su chi la subisce ma anche sulle famiglie e sulle donne in particolare, determinando impoverimento, sofferenza e grandi difficoltà in reti familiari ormai più ristrette e sottoposte alle difficoltà di conciliazione.

Sempre maggiore rilievo ha assunto la questione della povertà per effetto della sua crescita impetuosa e della sua estensione a fasce sociali prima impensabili, quali giovani e lavoro povero. Il Rei è uno strumento importante ma il suo assoluto sotto finanziamento ne ridimensiona di molto la portata. È uno strumento di contrasto alla povertà assoluta che deve essere universale e per essere efficace deve essere adeguatamente potenziato per rivolgersi a tutti i poveri senza categorizzazione alcuna e deve investire nella rete dei servizi, altrettanto determinanti del sostegno monetario. Sulla povertà relativa la risposta non può che essere nel lavoro e nella sua qualità anche salariale e in estese tutele nel mercato del lavoro, con ammortizzatoriuniversali e politiche attive all’altezza dei problemi, nonché attivando, come nella proposta della CGIL, un Reddito di Garanzia e di Continuità che sostenga i lavoratori nelle fasi di esaurimento degli ammortizzatori e di ricerca di lavoro.

Sempre maggior rilievo ha assunto la questione delle pensioni.La vertenza unitaria CGIL-CISL-UIL e dei pensionati ha conseguito risultati importanti, a partire dall’estensione della 14esima mensilità, che ha riguardato principalmente le donne, e anche riuscendo ad inserire alcuni, seppur limitati, elementi di modifica dell’impianto rigido e puramente assicurativo della Monti-Fornero (cumulo gratuito, blocco attesa di vita per gli usuranti, definizione di prime categorie di lavori gravosi, primi riconoscimenti del lavoro di cura, ape sociale seppur limitata da eccessivi paletti etc..). Ma è necessario rimuovere e cambiare profondamente le caratteristiche del sistema in vigore, ricostruendo solidarietà, capacità redistributiva, equità e flessibilità. Il sistema contributivo in essere si applica a un mercato del lavoro caratterizzato da discontinuità, precarietà, ingresso tardivo e salari bassi; si sta programmando un futuro di pensionati con redditi vicini alla soglia di povertà. Sosteniamo la proposta della “pensione di garanzia” che garantisca, modificando la logica del calcolo puramente attuariale e riconoscendo il valore dei periodi di non lavoro, che nessuna pensione venga a trovarsi al di sotto di una determinata soglia. Va altresì riconosciuto il lavoro di cura e garantita una adeguata flessibilità, e bisogna lavorare anche sulla revisione strutturale dell’automatismo di applicazione della crescita dell’aspettativa di vita. Per le pensioni in essere intendiamo proseguire, anche attraverso l’ulteriore estensione della 14esima, nella tutela delle pensioni di fascia media, frutto del lavoro, nonché di quelle basse.

Molte risposte vanno ricercate nelle Politiche Fiscali, che sono lo strumento fondamentale per contrastare le diseguaglianze ed effettuare un’equa redistribuzione, anche attraverso il finanziamento del welfare. In particolare, va affrontato il tema dell’evasione fiscale, vero cancro del Paese, e quello della tassazione dei patrimoni. Va inoltre abbassato il carico fiscale sul lavoro e sulle pensioni attraverso una riforma organica che si basi sui principi per noi irrinunciabili della progressività e della giustizia sociale.

Lo SPI, consapevole del momento difficile che attraversa la politica del Paese e, forte del suo straordinario insediamento nel territorio, intende rafforzare ulteriormente la sua capacità di Contrattazione Sociale che va estesa e meglio praticata e valorizzata dall’insieme della Confederazione. La contrattazione, a tutti i livelli, è lo strumento che valorizza l’autonomia e la capacità progettuale del sindacato, ponendo sempre al centro la confederalità, indispensabile per affrontare le complesse sfide e per contrastare particolarismi e corporativismi, sempre più incombenti. A questo fine è anche necessario rilanciare il valore dell’unità sindacale che deve essere perseguita attraverso l’approfondimento del confronto, la rappresentanza dei bisogni, la costruzione di piattaforme e di iniziative sempre più intense e diffuse.

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